Il Neuromarketing: la nuova frontiera della comunicazione

Aggiornato il 4 Giugno 2024 da Paolo Paccassoni

Neuromarketing

Che cos’è il Neuromarketing

In questo articolo parlo di Neuromarketing, un argomento che negli ultimi anni sta diventando sempre più interessante in ambito marketing e se ne parla sempre più spesso perché in effetti è un argomento relativamente nuovo soprattutto nel campo della comunicazione.

I concetti che tratteremo e i consigli e gli esempi che vedremo possono essere applicati un po’ a tutti i vostri assets di comunicazione, che si tratti di uno spot pubblicitario, di landing page o di un sito web più strutturato o anche delle vostre newsletter.

Vediamo prima come le tecniche derivate direttamente dalle neuroscienze influenzano il comportamento dei potenziali clienti.

Partiamo con il dire che cos’è il Neuromarketing?

Una definizione che mi piace particolarmente è la seguente:

“Il neuromarketing è un complesso di tecniche di marketing che sfruttano le scoperte e le metodologie della psicologia e delle neuroscienze per capire e influire sui processi decisionali del consumatore”

Detta così sembra un concetto particolarmente complicato ma soprattutto sembra che si siano scoperte chissà quali tecniche di vendita che ci permettano di “traviare” il consumatore. Non è così. Diciamo che in realtà la conoscenza di queste tecniche è utile per capire come già oggi i consumatori scelgono i prodotti da acquistare, come già oggi si attivano per ricercare informazioni sui prodotti.

Il conoscere le tecniche, la storia e gli strumenti che vengono utilizzati, ci aiuta a comprendere meglio come funziona la testa di un consumatore e quindi la nostra testa. Gli stessi addetti ai lavori sono consumatori e sebbene conosciamo queste stesse tecniche, ogni volta abbassiamo le nostre “Difese di consumatore” e cadiamo vittima di tante strategia che per la verità sono anche molto interessanti.

Il Neuromarketing nasce negli anni 70 grazie agli studi del neuroscienziato Paul MacLean

ma il grosso dei risultati li stiamo vedendo soprattutto oggi poiché abbiamo a disposizione degli strumenti che un tempo erano impensabili e ci consentono di indagare più profondamente il consumatore, sia da un punto di vista cerebrale, sia da un punto di vista del comportamento, dello studio delle espressioni facciali. Questi strumenti sono tanti e diversi:

  • Fmri : Risonanza Magnetica funzionale
  • Eeg: Elettroencefalografia
  • Eye tracking
  • Rilevatore dell’attività elettrodermica
  • Analisi dell’espressione facciale

Sicuramente vale la pena porre l’accento sulla Risonanza magnetica funzionale che è una tecnica di imaging biomedico. Si fa attraverso un macchinario che occupa lo spazio di una stanza ed è uno strumento molto interessante poiché quantifica il flusso sanguigno che circola all’interno del cervello e ne segue gli spostamenti e questo consente di capire con estrema precisione quale area del cervello si attivi in seguito ad un determinato stimolo.

 

 

 

E’ un macchinario che dà dei risultati molto precisi in termini spaziali, nel senso che individua precisamente tutta la porzione di cervello interessata dallo stimolo ma è meno precisa dal punto di vista temporale, quindi nell’individuare il momento esatto in cui il cervello ha reagito ad uno stimolo.

Complementare all’ Fmri, troviamo l’elettroencefalografia che invece sfrutta un caschetto dotato di elettrodi, da posizionare sul capo del soggetto testato. In questo caso dico complementare poiché a differenza dell’ Fmri, l’elettroncefalografia carpisce gli impulsi elettrici che avvengono nel cervello in seguito a stimoli e quindi è molto precisa nell’individuare “quando” questo impulso si scatena ma è meno precisa nell’individuare perfettamente l’area in cui avviene.

Un altro strumento molto interessante è quello dell’ Eye Tracking, ovvero un particolare strumento che consente di capire su cosa posa lo sguardo di un consumatore quando gli viene sottoposto un volantino pubblicitario, uno spot televisivo, uno scaffale del supermercato o in linea più generale quando viene sottoposto ad uno stimolo di marketing. Seguire lo sguardo del consumatore ci permette di capire da cosa viene attirato e quale percorso compie il suo sguardo.

Tornando all’ Fmri è uno strumento che io trovo particolarmente affascinante perché ad esempio ha permesso di scoprire che i centri del cervello che si attivano quando un utente si trova nel mezzo di una transazione o di una contrattazione, oppure quando è davanti lo scaffale al supermercato e confronta il prezzo tra più prodotti, sono gli stessi centri che si attivano e che si mettono in moto quando proviamo dolore fisico.

A nostra insaputa nel nostro cervello nasce un campanello di allarme. Questa è una cosa molto importante perché in questo senso, ci sono delle tecniche che consento di minimizzare l’attivazione di questi centri del doloro in modo tale da rendere le transazioni più fluide e la contrattazione più veloce.

Un esempio classico è il modello di business legato all’ All you can eat”. Perché?

Attualmente quando andiamo al ristorante e sfogliamo il menù, guardiamo sempre anche i prezzi, inutile negarlo. Ci preoccupiamo di capire il reale valore delle cose, ci chiediamo se sia troppo caro, insomma, ci facciamo i conti in tasca per capire se i nostri soldi valgono quel piatto oppure no.

I ristoranti che applicano la formula All you can eat invece è come se dicessero al cervello del consumatore “Tranquillo, mangi tutto quello che vuoi. Il prezzo è fisso a 20 euro.”

“Mangi tutto il sushi che vuoi”

Un altro modo in cui si evita l’attivazione di questi centri del dolore è l’invenzione della carta di credito che è uno strumento utilissimo però di fatto quando acquistiamo con la carta di credito non ci rendiamo conto che dei soldi stanno uscendo dal nostro portafogli. Comprare con la carta di credito è molto più semplice sia per chi compra perché non sente quella vocina interiore che gli dice “Stai spendendo troppo” e anche per chi vende ovviamente.

Un’ altro aspetto importante collegato allo strumento Fmri è che ha permesso di scoprire che i centri del cervello che si attivano quando parliamo dei nostri brand preferiti, sono gli stessi centri che si attivano quando i parla della nostra fede religiosa o in generale del nostro senso di religiosità.

Perché vi racconto questo? Perché Apple in questo senso ha lavorato in modo molto preciso. Gli utenti Apple non sono semplici consumatori ma io li definirei più “Adepti”. Assistiamo sovente a utenti Apple che messi di fronte ad una scelta difendono il loro brand a spada tratta. Come una guerra del “noi contro loro”. Assistiamo a file chilometriche davanti i negozi quando esce l’ennesimo Iphone. Apple quindi ha quasi trasformato i suoi clienti in “Fedeli”. Ha costruito una religione intorno al brand.

I consumatori Apple, sono veramente fedeli.

Cosa c’era prima del Neuromarketing?

Arrivati a questo punto potremmo pensare “Si tutto bellissimo”, ma quindi prima del neuromarketing non si conoscevano le tecniche di vendita?

In realtà si, il mondo va avanti anche senza il neuromarketing. Esistono molte tecniche usate con successo in passato ed ancora oggi. I recenti studi di Neuromarketing tuttavia, hanno permesso di scoprire cosa c’è alla base del loro funzionamento e quindi abbiamo capito anche come replicarli in forme diverse.

Pensate alla tecnica del 3×2 usata spesso nei supermercati. Questa tecnica funziona perché dire al consumatore “Ti do un prodotto in regale su 3” è molto diverso dal dire “Ti faccio il 33% di sconto se compri 3 prodotti”.

Matematicamente regalare un prodotto su 3 o fare un taglio prezzo del 33% è la stessa cosa. Tuttavia il neuromarketing ha dimostrato che il beneficio mentale percepito derivante dal concetto “Regalo” è maggiore del beneficio derivante dal taglio prezzo.

Oltre le tecniche già conosciute , prima del Neuromarketing a sostegno delle imprese c’erano le ricerche di mercato. In realtà ci sono ancora oggi. Contate però che su 100 prodotti lanciati sul mercato, solo 20 superano l’anno di vita. Attenzione: tutti i prodotti vengono testati prima di essere lanciati. Quindi qual’è il problema? Stiamo dicendo che le ricerche di mercato non funzionano?

Assolutamente no! Le ricerche di mercato funzionano nella misura in cui riescono a ridurre il margine di incertezza che un’azienda incontra quando si trova a lanciare un prodotto e contando che gli investimenti spesso sono cospicui, ridurre l’incertezza è davvero importante.

Tuttavia questa cifra dell 80/20 ci porta a voler indagare oltre le ricerche di mercato per cercare nuove verità altrove.

David Ogilvy, “il” pubblicitario del 900, probabilmente il papà della pubblicità per come la conosciamo oggi, nella seconda metà del secolo scorso diceva:

“Il problema del marketing è che le persone non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono”

Questo rafforza ancora più il concetto che spesso i soggetti testati in uno studio di mercato spesso non dicono la verità. Spesso dicono cose che pensano che l’altra parte vogliono sentire. Inoltre in quel momento sanno che sono sotto analisi e ciò gli impedisce di essere naturali.

La teoria dei 3 cervelli nel neuromarketing

Entrando nel vivo della storia del neuromarketing, non possiamo non parlare della “teoria dei 3 cervelli”. Intorno agli anni ’70 una famoso neuroscienziato, Paul MacLean teorizza appunto che il cervello umano si sia evoluto in 3 sezioni consecutive, progressivamente con l’evoluzione umana.

Il cervello Rettiliano, il cervello mammifero e il cervello superiore.

E’ una teoria che approfondendo gli studi di Neuromarketing, trovate spesso e va per la maggiore. Dal momento che il cervello è diviso in questo modo e che ogni sezione ha delle esigenze informative diverse, l’idea è quella di trovare delle strade comunicative che ci permettano di parlare a tutti e tre i cervelli ma bisogna capire come farlo.

Immagine dei 3 cervelli teorizzati da Paul MacLean

 

Il cervello rettiliano

MacLean sostiene che il primo cervello che l’uomo ha sviluppato è quello definito “Rettiliano”, così chiamato perché è quello che ci accomuna ai rettili. In questa parte del cervello nascono i nostri istinti primordiali: bisogno di mangiare, bisogno di proteggersi, di scappare dal pericolo. Questa area del cervello nell’uomo è quella che gestisce le funzioni legate alla sopravvivenza fisica: la regolazione del respiro, la regolazione del battito cardiaco etc.

Il cervello rettiliano fa quello per cui è stato programmato, come un robot, tutto per assicurare la sopravvivenza e proprio per questo motivo è un cervello che “Vuole tutto e lo vuole ora”. Se il corpo è stanco, lo costringe a riposare, se il corpo a fame lo costringe a cercare cibo. Facciamo un esempio pratico.

Immaginate di voler comprare il Libro “Neuromarketing” di Martin Lindstrom. Ve ne hanno parlato molto bene e volete leggerlo a tutti i costi. Molto probabilmente andate a colpo sicuro su Amazon, digitate nella barra di ricerca e questo è quello che vedete:

Esempio di neuromarketing su amazon

 

La pagina di amazon è molto semplice, ha vari elementi, ma quelli che interessano davvero a voi in questo momento sono perfettamente visibili. Il prodotto, il prezzo e il pulsante “Acquista ora”.

Chiaro che se stessimo acquistando uno smartphone, ci sarebbero molte più foto e in effetti il cervello rettiliano si nutre molto di immagini perché è attraverso le immagini che “annusa il mondo circostante”, quindi se possibile ben vengano un più alto numero di immagini nelle vostre comunicazioni.

La pagina di Amazon è quindi strutturata per minimizzare e guidare l’utente verso la formulazione immediata dell’acquisto. Dà poche informazioni e sono esattamente quelle che servono.

Quindi, come si parla al cervello Rettiliano? In primis dobbiamo fornirgli pochi contenuti ma che siano quelli giusti, bisogna dare le informazioni giuste alle persone giuste. Le comunicazioni devono essere semplici e immediate. Infine bisogna ricorrere molto a immagini e video perché è un cervello che si nutre visivamente. Non è un cervello che vuole esplorare e non ha bisogno di informazioni. E’ un cervello che vuole tutto e subito. Solo quello che conta.

 

Il cervello mammifero

La seconda parte del cervello umano che si è sviluppata è il cervello mammifero. Quest’area del cervello è la sede dei nostri ricordi ed è qui che nascono le emozioni. Non a caso del nostro passato noi ricordiamo degli eventi solo se ci hanno coinvolto positivamente o negativamente. Soprattutto è l’area del cervello che ci distingue dai rettili. I rettili nascono e poi essenzialmente hanno un vita solitaria. Non sono animali sociali o da branco. Quest’area del cervello è quella che ci rende animali “sociali”, cioè da branco.

Il concetto di Branco e di Emozioni è molto importante quando si parla di convincere qualcuno a fare qualcosa. Partiamo dalle emozioni.

Jonah Berger un professore Americano  di marketing nel suo libro sull’efficacia del passaparola dal titolo “Contagioso” distingue tra emozioni ad alta eccitazione e a bassa eccitazione. Ad esempio la tristezza è un emozione negativa a bassa eccitazione e non genera un azione. Quando siamo tristi spesso non abbiamo voglia di fare nulla.

La rabbia invece è un emozione negativa ad alta eccitazione e quindi stimola un azione. Spesso quando siamo arrabbiati facciamo o diciamo cose che non vorremmo. Spesso se si è arrabbiati si prendono subito provvedimenti. Insomma, la rabbia è un emozione che spinge all’azione.

Ci sono anche emozioni positive che spingono all’azione. Ad esempio la vista di un bambino, suscita in noi tenerezza e spesso catalizza l’attenzione. E’ un dato di fatto che pubblicità contenenti neonati suscitino immediatamente l’attenzione dell’osservatore. Facciamo un esempio.

Heat map applicata ad un commercial con un neonato

Su questa immagine è stata utilizzata la tecnica dell’eye tracking ovvero la tecnica che consente di capire dove si posano gli occhi dell’osservatore. Le aree rosse corrispondono a quelle sulle quali l’osservatore si è concentrato più a lungo, le verdi al contrario sono le aree in cui l’osservazione è stata fugace.  In questo esempio è stato utilizzato un bambino. Come vedete l’attenzione dell’osservatore viene catalizzata dal bambino. Al contrario il messaggio attira la sua attenzione quasi per niente. Quindi il problema è capire come faccio a suscitare l’interesse dell’osservatore sulla mia pubblicità pur volendo utilizzare l’immagine del bambino. Il risultato è quello che segue. Se il bambino ora è rivolto alla comunicazione, anche l’occhio dell’osservatore lo seguirà e anche egli osserverà la comunicazione.

 

Heat map del neonato che osserva il comunicato

 

Questo deriva dal fatto che siamo portati a imitare ciò che fanno gli altri. E’ quello che potremmo definire il potere del branco. Il messaggio che ci portiamo quindi in questo caso è che se utilizziamo figure umane all’interno della comunicazione e vogliamo portare l’attenzione dell’osservatore da qualche parte, dobbiamo far interagire la figura umana con quella sezione della comunicazione.

Qui riporto un altro esempio con tre elementi, il claim, il prodotto e la figura umana. Nella prima figura la modella osserva in camera e infatti vedete che lo sguardo dell’osservatore si poggia sul claim e sulla donna ma non sul prodotto. Nella seconda immagine la modella osserva il prodotto. L’osservatore è portato a imitarla, in quanto riconosce in lei un suo simile e vuole capire cosa sta guardando. In questo secondo esempio come vedete l’osservatore guarda tutti gli elementi della comunicazione.

C’è un altro esempio che ci fa capire quanto siamo abituati a guardare ciò che fanno gli altri quando dobbiamo prendere una decisione. Se ci troviamo in una città straniera e non sappiamo dove mangiare, o ci affidiamo a tripadvisor oppure in maniera molto più semplice, guardiamo quali sono i ristoranti pieni e quali sono vuoti. Ovviamente i primi lasciano presagire una migliore qualità del cibo servito e un servizio migliore.

In altre parole guardiamo sempre ciò che fanno gli altri, anche se non li conosciamo. Guardiamo cosa fa la massa. A volte è un atteggiamento che porta a degli errori ma nella maggior parte dei casi è un buon modo per non sbagliare.

Seguendo il medesimo discorso arriviamo a parlare delle recensioni online, ad esempio su Amazon o su Booking.com. Quando dobbiamo acquistare un prodotto e non lo conosciamo, ci affidiamo ai commenti di perfetti sconosciuti. Ci avete mai pensato? Questo succede perché le reputiamo delle persone simili a noi e che non hanno alcun interesse a dire falsità su un certo prodotto.

Poi su amazon succedono cose strane tipo aziende che comprano recensioni a 5 stelle per i propri prodotti ma in linea generale, passatemi per buono l’esempio.

 

Esempio di recensioni amazon, importanti nel neuromarketing

 

Un altro modo di spingere le persone all’azione è quello di suscitare in loro emozioni negative. Mettere i nostri destinatari a disagio è un modo per spingerli all’azione, per stimolare in essi il senso di urgenza. Vi faccio un esempio per spiegare il concetto. C’è un vecchio spot di Allianz assicurazioni che trovate anche a questo link (scorrete l’articolo per trovare il video).

Sostanzialmente è un cartone animato in cui una donna cammina su un marciapiede e da un balcone cade inavvertitamente un vaso di coccio in strada, prendendola in pieno. Nella scena successiva un papà rientra con la famiglia a casa e trova la casa scassinata e l’appartamento sottosopra. A quel punto la voce fuori campo interviene dicendo “non preoccuparti, scegli di vivere tranquillo, per la protezione della casa c’è il prodotto assicurativo abc etc”.

L’azienda in questo modo sta cercando di mettere a disagio il telespettatore. Sappiate che le persone sono molto più stimolate dalla paura di perdere qualcosa, rispetto a stimolarle dicendogli che se acquistano il tale prodotto ne avranno n-benefici. L’avversione alla perdita è uno dei tanti Bias cognitivi scoperti da Daniel Khaneman, un famoso psicologo israeliano.  Fare leva sulla paura vende molto di più.

Ora allontanandoci un po’ dal mondo delle assicurazioni, capiamo in quale altro modo si può ricreare questo disagio della “perdita di qualcosa”. Osservate il seguente esempio.

 

Esempio di come si stimola il senso di urgenza

 

“Negli ultimi 10 minuti, 2 utenti hanno visto questa struttura per le tue stesse date”

“Solo una camera rimasta sul nostro sito”.

Ovviamente sono informazioni che mi spingono ad agire. Oltretutto sono scritte in rosso. Il rischio è che se non prenotate ora, perderete questa camera che peraltro ha un sacco di recensioni positive!

Intendo questo quando parlo di “scatenare il senso di urgenza”.

Un altro modo è mettere dei countdown all’interno delle comunicazioni:

“La seguente promozione è valida solo fino alle 13.00 di domani”

Sono rimasti a magazzino solo 2 pezzi

Sono tutte frasi che mettono a disagio, ti costringono a prendere una decisione subito.

Concludendo, come si parla al cervello mammifero? Usate figure umane che interagiscano con il messaggio. Utilizzate recensioni e testimonianze vere. Stimolate le emozioni negative per instillare il senso di urgenza.

 

Il cervello superiore

Infine abbiamo il cervello superiore che è l’ultimo ad essersi sviluppato ed è quello per il quale ci distinguiamo dagli altri mammiferi. Grazie a questa sezione del cervello siamo in grado di formulare pensieri complessi, Ragionare in termini di causa effetto, avere pensieri ipotetici etc.

E’ quindi un cervello che reagisce molto bene alla presentazione di numeri e benefici funzionali. Entrambi sono elementi molto importanti per parlare  questo cervello.

“Siamo la prima azienda in Italia per questo servizio”

“Il nostro prodotto ti aiuta a raggiungere il medesimo risultato nella metà del tempo”

“20% in meno di grassi”

 

Spero l’articolo vi sia piaciuto. Se avete domande o siete interessati a conoscere qualche libro interessante per approfondire l’argomento scrivetemi!

 

 

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5 risposte

  1. Francesco Gallucci ha detto:

    Caro Paolo, sono Francesco Gallucci (vicepresidente di Ainem, aAssociazione Italiana di Neuromarketing) ho letto il suo post e capisco l’entusiasmo per la materia, ma forse bisognerebbe non conoscerla ma anche averla praticata per parlarne. Frasi come questa da lei riportata nel testo “Il Neuromarketing nasce negli anni 70 grazie agli studi del neuroscienziato Paul MacLean” fanno male alla diffusione della disciplina, non solo perché inesatte (il neuromarketing nasce ufficialmente nel 2002 in Olanda, lo so perché lo praticavo già in quegli anni) e poi perché MacLean ha formulato l’ipotesi del cervello triuno che è oggi considerata una semplificazione utile per la divulgazione ma non certo una base del neuromarketing. Cordiali saluti. Francesco Gallucci

    • Paolo Paccassoni ha detto:

      Buongiorno Francesco, la ringrazio per la precisazione ma forse il passo è stato male interpretato. E’ innegabile che si parli di Neuromarketing solo in epoca moderna ma i semi di questa materia sono stati gettati molto prima e non mi riferisco solo a MacLean ma anche ad esempio agli studi sui Bias cognitivi di Daniel Kahneman e agli studi di economia comportamentale di Richard Thaler che se non erro risalgono proprio agli anni 70-80. Ci sono sicuramente tanti altri studiosi che in epoca più recente hanno contribuito maggiormente a plasmare la materia che oggi conosciamo, anche grazie all’uso di supporti tecnici che fino a pochi anni fa erano appannaggio esclusivo di centri di ricerca.

      Non sono un esperto di neuromarketing ne mi professo tale. Ne parlo da semplice estimatore. Credo che per poter cogliere i frutti di un qualunque campo della scienza non bisogna essere degli esperti. Semplificando al massimo: per godere dell’utilizzo di uno smartphone, non ho bisogno di una laurea in ingegneria elettronica. In quanto studioso e appassionato di marketing, mi interesso di tutto ciò che di questo ambito mi può tornare utile nella mia attività lavorativa e conoscitiva.

      I miei articoli sono divulgativi, nel mio blog parlo di quello che mi piace, dei libri che leggo e dei concetti che reputo interessanti trattare e che potrebbero essere utili a chi legge.
      Il presente articolo non ha la pretesa di risultare scientifico. Chi vuole farsi un idea precisa della materia si iscrive a corsi, frequenta università, segue seminari e legge libri di persone molto più esperte di me. Io do solo degli input che reputo interessanti.
      La saluto cordialmente.
      Paolo

  1. 2 Maggio 2020

    […] che ho scritto sul neuromarketing, spiego perfettamente quale debba essere l’approccio ad una comunicazione corretta verso il […]

  2. 18 Maggio 2020

    […] spiego anche nell’articolo Neuromarketing la nuova frontiera della comunicazione, questo meccanismo funziona perché siamo animali sociali e dunque tendiamo a imitare i […]

  3. 8 Giugno 2020

    […] Troviamo la risposta in un altro aspetto del mondo della coca cola che è il mondo della comunicazione e del marketing. Anzi del Neuromarketing. […]

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